Ritorna all'inizio


Università

Devo ammettere che ho cambiato profondamente la mia visione di molti aspetti della vita da quando ho iniziato il mio percorso universitario. Questo non vuol dire che sia stato tutto rose e fiori. Purtroppo, molte cose dell'università (soprattutto dove vivo) sono progettate in modo così stupido da lasciare perplessi. Ma iniziamo dagli aspetti positivi.

Ho iniziato il mio percorso nel 2020. Mi sono diplomato lo stesso anno, in un momento che il mio cervello ha praticamente cancellato. A dire il vero, ricordo molto di più degli anni 2010 che dell'inizio del decennio. Perché? Soprattutto perché odiavo quel periodo. Era un periodo buio per via della pandemia e l'università poteva essere un modo per spezzare, imparare cose nuove e conoscere persone nuove.

Triennale

L'università è stata il cambiamento che volevo per respirare un po' d'aria fresca, in quel mondo nuovo in cui mi trovavo. La nostra classe del primo anno ha iniziato il semestre guardando le lezioni online, il che aveva non poco ovattato l'esperienza al punto che a malapena mi consideravo uno studente universitario. Questo non vuol dire che non mi sia piaciuto quel periodo, anzi. Ma non posso fare a meno di sentirmi come se mi fosse stato portato via qualcosa, e non sono l'unico. Abbiamo persino trascorso gli ultimi mesi del liceo a casa, in modo simile. I mesi che precedono il diploma, sono stati strappati via dalle nostre vite e non vivremo mai l'ultimo giorno di scuola di persona. Non che mi importi poi così tanto, ma non è il massimo della vita.

Ricordo che quando iniziai a sostenere esami lo studio mi veniva naturale. Ero entusiasta.

Avevo davvero la sensazione di imparare qualcosa e studiavo tutto con grande interesse. Le materie non erano solo interessanti, ma stimolavano la mente, il tipo di cose che getta le basi per sviluppare una capacità di ragionamento superiore. Cose incredibilmente teoriche, ma pragmatiche ed utili come l'algebra lineare, il calcolo infinitesimale, DSA, la programmazione e così via.

Rispetto al sistema scolastico, l'università gestisce gli argomenti in modo molto diverso. L'esempio più lampante è stato il mio professore di Analisi 1. Era un professore gentilissimo, e insegnava la sua materia come se ci tenesse davvero, perché era così. A scuola ci veniva insegnato come gestire meccanicamente i processi matematici, non eravamo critici al riguardo. Non "pensavamo", ma semplicemente seguivamo un algoritmo che ci portava al diploma, e se ci riuscivamo, saremmo stati considerati bravi. Facevo schifo. Non mi è mai piaciuto. Ho fallito ripetutamente. Ero stupido? Non avevo talento? O forse semplicemente non ero adatto? Non credo.

Il fatto è che non mi sono mai sentito soddisfatto di un concetto finché non ho capito perché esiste, come esiste, in quale dominio esiste. Non mi sono mai sentito soddisfatto di apprendere il processo passo dopo passo per "fare la cosa", e di conseguenza non ho mai digerito nulla di ciò che mi veniva insegnato. Semplicemente non mi sembrava giusto, non mi entrava in testa. Ero lasciato a desiderare e bloccato in un universo di domande senza risposta. La scuola soffre di un problema didattico. Non insegna, ti fa il lavaggio del cervello per trasformarti in una calcolatrice umana. Ovviamente mi riferisco alla matematica e alle materie scientifiche in generale, non ho avuto problemi a imparare la storia o la geografia (di cui sono un grande appassionato).

Per molti sembrava funzionare, ma a me lasciava l'amaro in bocca, il pensiero di non stare effettivamente imparando. Non do la colpa all'insegnante, né alla scuola che ho frequentato. Ha a che fare con il fatto che c'è una quantità prestabilita di cose che dobbiamo affrontare durante l'anno scolastico, ed è davvero tanta. Non possiamo concentrarci su una cosa o sull'altra, e se non stai al passo, rimani indietro. Immagina di scalare una montagna, ma sei cieco, non c'è una corda che collega la classe, e devi arrivare in cima il prima possibile altrimenti non superi l'esame. Non dimenticare di studiare anche tutte le altre materie contemporaneamente! Mi faceva impazzire.

Comunque, torniamo all'università. Con quel professore ho imparato un nuovo tipo di matematica. Una matematica basata sul ragionamento e sulle discussioni costruttive. Una matematica che non si basava sui passi in sé, ma sul motivo per cui si faceva un passo invece dell'altro. Alla fine, l'obiettivo era ottenere il risultato corretto, e sviluppando le giuste competenze avremmo potuto fare molto di più. È stato rigenerante, meraviglioso e ho ricordi incredibili di quella consapevolezza. Di aver avuto ragione fin dall'inizio.

Con il passare degli anni, ho costruito conoscenze sulla pila che avevo già costruito negli anni precedenti. Ero sollevato da terra, stavo costruendo una torre.

Dopo un po', non mi sentivo più uno studente. Le materie si trasformarono in seminari con progetti finali, e non erano più così "di base". Non dovevo più studiare algebra, dovevo imparare a configurare un'applicazione o a costruire una rete con server, router e client. Cambiai, nel profondo.

Se il me stesso del liceo avrebbe visto tutta quella conoscenza accumulata in quei tre anni e mezzo come un'immensa e abbondante quantità di informazioni, il me stesso post-laurea l'ha vista come nulla. Forse è il caso più illuminante e reale dell'Effetto Dunning-Kruger. E così sono tornato per imparare di più.

Magistrale

Questa volta volevo aria fresca, lontano da casa. Sono entrato in un'altra università, molto più lontana da dove ero prima.

Ho incontrato nuove persone. Ho imparato nuovi concetti, fatto molte cose, parlato con molte persone. Ed eccomi qui, ignorante come sempre. Sono convinto che passerò il resto della mia vita nel disperato tentativo di comprendere finalmente anche solo una minuscola frazione del vasto cosmo che è il nostro universo osservabile di conoscenza. Ma con il passare degli anni, ho notato un problema.

L'università soffre di un problema epistemologico, ovvero esplicita l'esistenza di concetti, ma non spiega (o non sa spiegare) come arrivare alla conoscenza, l'intuizione pura. Mi sono sempre ritenuto uno studente zelante e di grande volontà d'animo, ma certe volte le mie aspettative sono state deluse dall'incapacità dell'università di gratificare la più viscerale delle volontà di una persona curiosa. E se prima certi fenomeni - vuoi per mancanza di esperienza - venivano attribuiti alla mia incompetenza, ora mi rendo conto più che mai che sono presenti delle mancanze strutturali. Ed ecco qui che incappiamo nel problema: la distanza tra l’apprendimento nozionistico e la comprensione autentica. Questo non è solo un problema dell’università, ma in essa diventa particolarmente evidente, proprio perché si presume che lì si formi il pensiero critico e la capacità di costruire conoscenza, non solo di riceverla. Credo che questo sia un problema che si inizia a notare dopo aver sviluppato una diversa lettura dell'esposizione dei concetti. Per quanto questo rappresenti un enorme passo avanti rispetto al liceo, c'è ancora qualcosa che mi irrita.

Suppongo il mio discorso fino ad ora sia sembrato alquanto fumoso e inscrutabile, per cui permettetemi di illustrare un esempio.

L'induzione matematica.

L’induzione non è solo un procedimento logico che va dal particolare al generale (es. "vedo 100 cigni bianchi -> tutti i cigni sono bianchi"). È anche un’esperienza intellettuale: l’attimo in cui l’intuizione ti fa cogliere un ordine dietro i fenomeni.

Ma da dove nasce questa intuizione? Spesso da un pensiero pre-logico, da una sensazione, da un’immagine, o da un'analogia con esperienze precedenti. Questi aspetti non vengono insegnati, ma sono vitali.

Metacognizione: chiedersi continuamente come sto pensando, cosa sto trascurando, da quali presupposti inconsci dipendo.

È ben probabile che i più possano derubricare tale critica affermando che l'insegnamento esuli da tale scopo. Eppure ritengo molto più importante che venga data una carica più fondamentale che didattica al ragionamento. Che si insegni come pensare più del cosa. Non solo trasmettere risultati, ma mostrare il percorso, gli errori, i tentativi, coltivare la coscienza epistemica: sapere quando so, come so, quanto vale ciò che so.

Il fatto che certi concetti vengano esposti alla mia conoscenza non li rende automaticamente internalizzati nel mio inconscio, e il lavoro dell'università dovrebbe essere proprio quello di facilitare il processo di digestione nozionistica affinché tale concetto possa essere rielaborato, criticato, costruitoci sopra o, idealmente, autonomamente derivato ecc.

Ebbene il lavaggio del cervello perpetrato dall'università è un lavoro molto più fino: Prendiamo come esempio ancora più lucido le classi di complessità.

La teoria della complessità nasce con un intento quasi nobile: classificare i problemi computazionali secondo la quantità di risorse che richiedono (tempo, spazio, randomizzazione, parallelismo…).

Ma col tempo, quello che era un quadro concettuale semplice (P vs NP) si è frantumato in centinaia di classi: P, NP, coNP, PSPACE, EXPTIME, BPP, RP, ZPP, L, NL, PH, AC⁰, NC, IP, MA, AM, e moltissime altre, con decine di riduzioni tra classi, che si sovrappongono senza un ordine evidente e definizioni tecniche spesso scollegate da intuizioni cognitive o esperienze concrete.

Risultato: la teoria sembra moltiplicare gli enti oltre il necessario, smarrendo il senso.

Da qui ne deriva la debolezza epistemica: molte classi sono definite formalmente, ma non hanno un’intuizione forte o una motivazione pragmatica evidente. Sembra che Dio si sia dilettato nel categorizzare i vari problemi in questi opachi e molteplici cassettoni, giustificando il tutto con una nebulosa quantificazione di struttura. Si arriva ad un punto in cui l’illusione di necessità ed armonia si lacera e mostra la contingenza, l’artificio, quasi il barocchismo della costruzione. Un vero e proprio strappo nel cielo di carta, pirandellianamente parlando.

Eppure non viene rappresentata così.

Molti dei miei colleghi sono sempre stati molto comodi nel considerare tali macchinazioni - utilissime, per carità - come verità impossibili da negare o criticare. Verità ontologiche, feticci da adorare e rispettare con il riserbo degno di una divinità. Che venga insegnato altrimenti. Che l'università si svegli e si sottragga dalla piaga dell'utilitarismo bonario ed ingenuo, specie nell'ambito di discussioni squisitamente platoniche come queste.

P.S. Che sia ben chiaro. Non sto rinnegando alcun concetto mostratomi all'università. Che non si travisi il significato delle mie parole.

- e

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